Passaggio del Ticino a Turbigo
Gli Avvenimenti
PASSAGGIO DEL TICINO A TURBIGO
Il 30 Maggio 1800, Napoleone Bonaparte è a Vercelli e trova il tempo per scrivere un dispaccio ai consoli della repubblica: “Consoli cittadini, vi invio il bollettino dell’armata. Sono in moto perpetuo. Parto questa notte per Novara. Domani sarò sulle rive del Ticino, fiume estremamente ampio e veloce.”[3] Dopo un breve soggiorno a Novara presso Palazzo Bellini dove trova il tempo unitamente al generale Berthier e Murat di consultare le mappe della zona ed elaborare un piano di massima, al mattino presto è già sulle rive del Ticino. L’obiettivo è raggiungere Milano nel più breve tempo possibile. Murat per attirare in un diversivo l'attenzione del nemico, ordina alla divisione di Boudet di dirigersi verso Boffalora e alla 72e demi-brigade di dirigersi invece su Oleggio. Il passaggio del Ticino avverrà a Turbigo (vedi “croquis des ingenieurs geographes de l’armée) . La divisione Monnier prende posizione. Il ponte volante sul Ticino era stato rimosso dal nemico, il quale si era ben trincerato, ponendosi in una situazione di vantaggio sulla sponda opposta del fiume. L'avanguardia del generale Schilt fu accolta da una grandinata di colpi, palle di cannone e mitraglia, proveniente dalla sponda lombarda. Il generale Murat fece posizionare la sua artiglieria (quella stessa che fu fatta passare di notte sotto il forte di Bard), per attirare il fuoco nemico e favorire così la costruzione di un ponte volante al posto di quello che era stato distrutto; ma la sfortuna volle che uno tra i primi colpi di cannone austriaco, cadesse con precisione, proprio nel punto di allestimento del ponte, facendo naufragare sul nascere l’intento francese. Cambiano velocemente gli ordini, il fiume sarà attraversato con delle imbarcazioni che occorre reperire in ogni dove sul territorio. Grazie all’aiuto di alcuni cittadini di Galliate (il paese piemontese più vicino), vengono reperite velocemente delle imbarcazioni. Gli uomini della 70e demi-brigade sono costretti a trasportare queste barche sulle loro spalle sotto il fuoco incessante dell’artiglieria austriaca. L’idea arguta di un ufficiale prevedeva di trasportare un piccolo cannone, unitamente al suo munizionamento, su una di queste barche. Per fare questo, alcuni granatieri, furono costretti a spingere a nuoto questa imbarcazione in un ramo del Ticino, fino ad un isoletta boscosa che divideva in due le acque del fiume. Giunti sull’isoletta, i soldati si resero conto che la boscaglia forniva loro un ottimo riparo alla vista degli austriaci i quali invece si presentavano ai francesi allo scoperto, direttamente sulla loro linea di fuoco. Questo insperato vantaggio fu subito sfruttato dai granatieri che iniziarono a far fuoco e a colpire sul fianco gli ignari artiglieri austriaci. Tra le file di quest’ultimi si scatenò il panico. Non riuscendo a capire la provenienza di quei colpi micidiali, temendo che fosse già in corso un accerchiamento, le truppe austriache persero il controllo e cominciarono, alcune ad abbandonare i pezzi al loro destino, altre a ritirarsi portandosi dietro i pesanti cannoni. Murat capì subito l’enorme vantaggio che andava creandosi e comandò immediatamente il riposizionamento dei pezzi di artiglieria per migliorare il fuoco di copertura, manovra che fu eseguita così rapidamente da determinare il definitivo sgombro degli austriaci dalla sponda lombarda del Ticino. A quel punto, tutto divenne utile per attraversare il fiume. Vennero riutilizzate le grandi barche portate dal Sesia per costruire il ponte di barche provvisorio, le piccole imbarcazioni locali, si diede inizio alla costruzione di zattere. Bisognava far sbarcare nel più breve tempo possibile il maggior numero di soldati in Lombardia. Napoleone Bonaparte che con il suo cannocchiale scrutava gli avvenimenti dalla costa di Galliate, momento immortalato dall’ artista Muller sulla propria stampa[4], non riuscì a trattenere il desiderio di mettere immediatamente piede in Lombardia con le sue avanguardie. I concitati attimi che lo vedono a bordo della imbarcazione che sfida le acque del Ticino, diventano drammatici quando l’aiutante di campo, capo di Brigata, Duroc, cade nelle acque del fiume e solo grazie all’impavido aiuto dei suoi uomini riesce a salvarsi [5]. Nel breve, circa 700 granatieri della 70e demi brigade ed ad un altro imprecisato numero di granatieri della 72e demi-brigade, unitamente al primo console, sono sul suolo lombardo. Questa avanguardia è comandata dal comandante Girard che cerca da subito di consolidare la testa di ponte, dando ordine ai propri granatieri di inseguire di corsa gli austriaci che disordinatamente si ritirano dalle rive del fiume. Infatti, dopo il Ticino, a pochi chilometri, esiste un altro obiettivo fondamentale da conquistare per arrivare nel più breve tempo possibile a Milano. Prendere intatto il ponte sul Naviglio Grande a Turbigo (da qui il riferimento a “Rue du pont de Turbigo” a Parigi), significa permettere di far passare l’intera armata velocemente in territorio lombardo. Tra i primi a cadere sul ponte sul Naviglio a Turbigo ci sono i capitani Voton, Laplace e Lazget, come riportato da “Le Moniteur” [6]. Il ponte, in questo momento, viene conquistato per la prima volta dai francesi che, ahimè dovranno farlo altre due volte in quella stessa giornata. Proprio nel momento preciso in cui i francesi pensano di aver consolidato la loro posizione, nel vicino paese di Castano, giunge il generale austriaco Laundon con i rinforzi, quasi tutti di cavalleria. L’esperto ufficiale, valuta immediatamente la situazione. Capisce che se vuole nutrire qualche speranza di rigettare il nemico al di là del fiume, lo deve fare in quel preciso momento. Ordina immediatamente l’inquadramento della cavalleria e la marcia al galoppo verso Turbigo. All’epoca c’era una sola strada che da Castano portava a Turbigo e i commilitoni austriaci in ritirata su quella strada, non credono ai propri occhi. Migliaia di cavalieri, nelle loro luccicanti divise, si stanno abbattendo su un nemico che già si sentiva vittorioso. Alla vista di quella enorme quantità di cavalleria, i francesi abbandonano velocemente il ponte sul Naviglio e disordinatamente ripercorrono a ritroso la stessa strada che solo pochi attimi prima li aveva visti procedere baldanzosi in avanti (strada “al porto di Turbigo”, ancora oggi esistente). Il comandante Girard insieme a Bonaparte e lo stesso Berthier si trovano ancora vicino al Ticino a coordinare lo sbarco, in prossimità di un vecchio mulino ancora oggi esistente. Alla vista della cavalleria in lontananza, al comandante Girard bastano pochi attimi per prendere una decisione che si rileverà cruciale e decisiva non solo per l’esito dell’intera battaglia ma anche per la salvare la del vita stessa del suo primo console. Come avrà modo di ricordare il generale Neipperg nel libro “Aperçu Militaire sur la Battaille de Marengo” [7], la zona di Turbigo, non era stata scelta a caso per l’attraversamento del Ticino. La carenza endemica di cavalleria da parte dell’armata di riserva, la poneva costantemente in condizioni di inferiorità rispetto al nemico che, si sapeva, al contrario, disporre in Lombardia di una abbondante quantità di cavalieri ben equipaggiati e armati. La presenza di numerosi canali di irrigazione, ancora oggi presenti nelle campagne di Turbigo, potevano permettere alla fanteria di contrastare molto più efficacemente la cavalleria, ponendosi con alle spalle uno di questi canali, che unitamente alla vegetazione prosperosa presente, impedivano alla cavalleria di svolgere la classica manovra di accerchiamento, caricando la fanteria su ogni lato. E’ proprio quello che fece il comandante Girard schierando tutti gli uomini di cui disponeva su un unico fronte con alle spalle il canale di irrigazione che alimentava già all’epoca un vecchio Mulino chiamato oggi “Mulino del Pericolo”. L’impatto della cavalleria fu tremendo, e non fu uno solo. Nel suo rapporto, il generale austriaco Laundon, scriverà che le cariche di cavalleria furono portate con particolare vigore poiché, gli austriaci stessi vedevano nelle retrovie delle file francesi, sia Napoleone che il generale Berthier. Nonostante la furia delle ripetute cariche, la fanteria riuscì a tenere la posizione, proprio perché la cavalleria non riusciva a manovrare alle loro spalle. Nel frattempo a difesa della linea francese accorrevano sempre nuove truppe che via via continuavano a sbarcare. Resosi conto dell’inefficacia delle sue cariche, avendo paura di rimanere isolato per il continuo afflusso di truppe francesi, il generale Laundon ordinò la ritirata e l’occupazione del cento abitato di Turbigo.